Correva l’anno 1004 quando l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico II, succeduto al cugino Imperatore Ottone III nel 1002 e proveniente dalla sua capitale Bamberga, nell’Alta Franconia, arrivò a Bergamo…. Ma facciamo un passo indietro.

Intorno all'anno 1000, Bergamo faceva parte del Regno d’Italia che, unitamente al Regno di Germania (ufficialmente dei Franchi), costituiva l’allora Sacro Romano Impero e quella autorità vi era riconosciuta tant'è vero che, nei documenti bergamaschi, il nome dell’Imperatore (allora Ottone III) appare in calce a documenti per una vendita di beni in Palosco e altri luoghi dal 996 e continua fino all'anno 1000.
Ma dall'ottobre dell'anno 1002 (nel gennaio era morto l’imperatore Ottone III) le carte bergamasche appaiono contrassegnate come “epoca di Arduino”, il Conte d’Ivrea, come Re d’Italia, il che evidentemente dimostra che i Bergamaschi ebbero a riconoscerlo! ... se pur per un breve periodo... come "sovrano" benché in Germania, già nel giugno dello stesso anno, fosse già stato eletto Imperatore (e quindi anche Re d’Italia) Enrico II.
Ma lo stesso Enrico venne in Italia nel 1004 per risolvere la questione e... "entrando a Bergamo, fu accolto con grandissimi onori dalla cittadinanza, dal Vescovo Reginfredo e dall'Arcivescovo di Milano, Arnolfo II" che, appunto nella nostra città, gli prestò giuramento di fedeltà. E fu lo stesso Arcivescovo, alcuni giorni dopo, che incoronò a sua volta Enrico II come Re d’Italia nel Duomo di Pavia.
E a Bergamo, visto che ci si trovava, l'Imperatore non perse l'occasione di mettere mano anche alla composizione del "Comitato dei Conti" visto che, dopo l’elezione di Arduino a Re d’Italia avvenuta nonostante l’opposizione del clero, aveva generatoin città non poca confusione. Riammise nel Comitato di Bergamo quell'Arduino I de' Gisalberti che il suo predecessore aveva allontanato per poter sostenere l'usurpatore, ma soprattutto iniziò quei movimenti, che solo i suoi successori poterono portare poi a termine, per dare i pieni poteri civili ai Vescovi... nel buon governo dei quali egli credeva molto più che non in quello dei nobili contemporanei!!.


E ci si potrebbe chiedere.... come si sono avvicendati in quel periodo i Vescovi a Bergamo?
Ebbene, a Gisalberto nel 987 era succeduto Azzone. Egli fece donazioni sia alla Chiesa di S. Vincenzo che alla Chiesa di S. Alessandro (perché, come si sa, in quel periodo erano due le principali chiese di Bergamo) prima di morire nel 995.

Dal 996 al 1013 fu vescovo Reginfredo, che molta parte ebbe nei rapporti con Enrico II: ottenne per primo da lui, nel 1003, la contrastata investitura (con un faticoso viaggio fino alla città di Bamberga) della corte di Almenno (l'antica Curtis Lemine dei Longibardi); investitura che però, nel 1013 e sempre per sentenza di Enrico II, dovette restituire con alcuni altri beni ai Canonici di S. Vincenzo.
A Reginfredo successe Alcherio, dal 1013 al 1022, il quale, tra l'altro, ebbe da Enrico Il rinnovata l'investitura della predetta corte di Almenno nel 1014.
Quindi venne eletto Ambrogio II dal 1023 al 1057. Egli fu grande vescovo. Apparteneva alla nobile famiglia gisalbertina ed era nativo di Martinengo, come conferma la sua firma in un atto  di acquisto di beni in Levate del 1040.   Ottenne anch’esso diplomi di conferma di concessioni di privilegi da Enrico II (che però morì nel 1024) ma anche dal successore, Corrado II, sulla corte di Almenno e per la terra di Calcinate (1026) e per la stessa autorità vescovile (1027), e, successivamente anche da Enrico III la riconferma per la corte di Almenno (1046). In modo speciale è da ricordare il diploma del 5 aprile 1041 da Magonza, con cui Enrico III concedette a lui e ai suoi successori la giurisdizione su tutto il Comitato di Bergamo, cosicché in Ambrogio Il si compì e culminò la podestà civile dei vescovi bergamaschi.


Tornando al nostro Imperatore, si può dire che non mancano nell’Archivio Bergamasco tanti, soliti amministrativi, atti che riportano il suo nome; alcuni relativi a quanto sopra detto...  particolarmente notevole, il diploma del 1013 (anno in cui l'Imperatore decise di scendere in Italia per andare a Roma), col quale restituiva ai canonici di S. Vincenzo alcune possedimenti e le rendite di due mercati che il buon vescovo Reginfredo aveva loro sottratto; e poi l’altro diploma... del 1014 (quando Enrico II "effettivamente" ritornò in Italia per la seconda volta) col quale confermò al vescovo di Bergamo Alcherio (successo nel frattempo a Reginfredo) l'investitura sulla Curtis Lemine (dove si trovava anche l’episcopale palatium) secondo la volontà anticamente espressa dal conte Attone di Lecco e di sua moglie Ferlinda.

Alla ripartenza di Enrico II per la Germania, i testi riportano che vi fu un ultimo tentativo, poi fallito, di Arduino d’Ivrea di riprendere la corona d’Italia ma pare che Bergamo sia rimasta fuori dalla contesa e non sia stata occupata dallo stesso perché le carte del 1015 e successive riportano sempre l'epoca dell'impero di Enrico II. Tra questi documenti riveste uno speciale interesse il diploma (senza data ma certo degli ultimi anni del suo impero - morì nel 1024 ma nel 1022 era ridisceso per la terza volta in Italia e aveva presieduto il Concilio di Pavia), con cui confermava tutti i privilegi concessi da precedenti re e imperatori alla Chiesa di Bergamo, riaffermando quindi l'autorità e la giurisdizione del Vescovo.

Ma cosa era avvenuto nella “Curtis Lemine” e perché era ritenuta così importante?
Sotto i Longobardi la zona di Bergamo comprendeva tre “Curtis” ossia palazzi di governo: la “Curtis Regia” in Città Alta, la “Curtis Murgola” in Borgo Palazzo e, appunto, la “Curtis Lemine” di Almenno San Salvatore, strategica ma soprattutto molto ricca e produttiva.

Alla caduta del regno longobardo, iniziata con Alboino nel 569 e terminata con la sconfitta a Pavia nel 773 di Desiderio per mano di Carlo Magno, il possedimento era passato anch’esso ai Franchi, ovvero ai Conti di un ramo collaterale dei Guidoni, titolari del Ducato di Spoleto. Nel X°sec., al Conte di Lecco, Radaldo, era succeduto Gilberto che morì nel 957 e a lui successe Attone fino al 975. Quest'ultimo personaggio, e forse anche lo stesso Radaldo, ebbe il titolo di conte di Lecco ma non di marchese (e pare che con Radaldo la schiatta di Corrado si fosse già spenta, e che quindi Gilberto e Attone siano stati successori non jure sanguinis, ma per titolo non bene chiarito). E probabilmente la ragione per cui furono privati del margraviato fu perché parteggiarono per Berengario II che si era proposto come Re d’Italia e perciò in pieno contrasto con l’Imperatore che rivendicava quel titolo e, dal 961, quando Ottone I di Sassonia sconfisse Berengario, furono costretti alla difensiva.
Ora, nel 975, Attone, colla moglie Ferlinda, donò i possedimenti di Almenno al Vescovato di Bergamo: e ciò si ricava, se non direttamente da un documento che rappresenti il titolo della donazione, indirettamente da documenti successivi.
Ma in quegli anni, un certo Adelgiso da Trezzo, vantandosi messo imperiale e investito del castello di Almenno, l'aveva occupato, perpetrando vari soprusi sugli abitanti. Il Vescovo Reginfredo nel 1003, sollecitato dai Bergamaschi che domandavano di chiarire le cose, si recò in Germania per ottenere da Enrico II la rinvestitura della corte e del castello, che erano comunque feudo reale; ciò risulta dalla minuta di una lettera, per verità senza data, scritta a quel vescovo, che si trovava appunto in Germania, da amici e fedeli bergamaschi addolorati (omnes sine dubio tristes) per la situazione.
L'investitura venne poi effettivamente concessa a Reginfredo, con diploma, che si è pure smarrito, ma che è ricordato nel successivo diploma di Corrado il Salico del 1026, il quale confermando pure nel vescovo di Bergamo il dominio della corte di Almenno, diceva appunto questa essere stata “ab antecessore nostro serenissimo imperatore Heinrico ab inimicorum faucibus liberata”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.